Il Petro è riuscito ad assumere un ruolo che forse in pochi si attendevano all’interno dell’economia venezuelana, almeno in un primo momento.
Lanciato da Nicholas Maduro con il preciso intento di farne uno strumento in grado di attenuare i danni prodotti dall’embargo statunitense, il progetto criptografico di Stato si è fatto largo anche contando su una serie di iniziative da parte del governo stesso.
Ad esempio il dono di un wallet destinato a contenerlo agli studenti o la decisione di dare una sorta di premio natalizio a lavoratori e pensionati statali proprio sotto forma di Petro.
La tesi di William Luther
Secondo un analista di American Institute for Economic Research, William Luther, proprio Petro potrebbe essere stato concepito anche come strumento di controllo della privacy per i cittadini residenti all’interno dei confini venezuelani.
Il direttore del Sound Money Project di AIER, anzi, arriva a sostenere che il risultato della diffusione della criptovaluta statale permetterà a Maduro di rafforzare il suo regime autoritario.
Regime autoritario sul quale, peraltro, in molti nutrono seri dubbi, considerate le mosse che hanno condotto un parlamentare di opposizione ad autoproclamarsi Presidente senza essere sottoposto a provvedimenti cautelari che sarebbero stati emanati contro di lui in qualsiasi altro Paese democratico del mondo.
La tesi di Luther non convince
La tesi di Luther, esposta all’interno di un articolo redatto per AIER, non ha però convinto molto.
Come dimostra la reazione di Carlos Gil, CEO di PetroShop Venezuela, che assiste giorno dopo giorno a transazioni, vendite e scambi effettuati nel settore petrolifero attraverso il suo gruppo, il quale assicura che non è certo Petro a mettere in pericolo le libertà democratiche.
Una tesi cui si accoda anche Aníbal Garrido, insegnante di cripto-trading presso l’Università venezuelana di Carabobo, secondo il quale è chiaro in partenza come una cripto di Stato rappresenti una realtà centralizzata.
Ernesto Portillo sgombra il campo dai dubbi
A porre una parola quasi definitiva sulla questione è però Ernesto Portillo, membro dell’Associazione venezuelana Criptojuris.
Secondo il quale proprio l’idea che il Petro rappresenti una nuova minaccia alla privacy suona alla stregua di una vera e propria assurdità.
Secondo l’avvocato, le banche hanno già l’obbligo di tenere un registro di tutte le transazioni e sono obbligate a consegnare informazioni ogniqualvolta richiesto dalle istituzioni statali.
Non si riesce quindi a capire perché una cosa fatta da Maduro possa rappresentare un attacco alla democrazia e la stessa azione compiuta da qualsiasi altro presidente di altro Paese non sia tale.