Ripple non ha nulla a che vedere con le criptovalute, secondo Massimo Simbula

La Securities and Exchange Commission procede come un rullo compressore nella sua offensiva contro Ripple.

Un’offensiva che potrebbe in effetti rivelarsi letale per l’azienda guidata da Brad Garlinghouse, almeno stando a quanto affermato da Massimo Simbula, un avvocato considerato alla stregua di una vera e propria autorità per quanto riguarda gli asset digitali.

La tesi di Massimo Simbula

Secondo Massimo Simbula, la SEC ha fondati motivi per portare avanti la causa contro Ripple, proprio sulla base delle normative esistenti.

La sua tesi, esposta su Coinlex, si basa su un assunto il quale potrebbe sembrare sorprendente, ma che tale non è agli occhi di molti esperti di crittografia: Ripple non avrebbe nulla a che vedere con il denaro digitale.

Un punto di partenza dal quale discendono conseguenze tali da far pensare che per l’azienda californiana le cose si stiano realmente mettendo male.

Non è un attacco contro le criptovalute

Nelle ore successive alla notizia dell’imminente causa della commissione contro Ripple, Brad Garlinghouse, CEO dell’azienda, ha cercato di coinvolgere il mondo crypto nella battaglia.

Asserendo in particolare che quella della SEC sarebbe a tutti gli effetti una guerra contro le criptovalute.

Secondo Simbula, non sarebbe assolutamente così e anzi, l’autorità preposta al corretto funzionamento dei mercati finanziari degli Stati Uniti non starebbe facendo nulla di più che procedere contro un’azienda privata accusata di aver operato senza rispettare le normative vigenti.

Una tesi che spiegherebbe anche la sostanziale freddezza che ha accolto l’appello di Garlinghouse, in pratica lasciato cadere nel nulla dalle altre aziende del settore.

Ripple: il vero errore commesso

Ancora secondo Simbula, il vero errore commesso da Ripple consiste nell’aver raccolto denaro vendendo criptovalute, o sedicenti criptoasset, senza però osservare le regolari procedure indicate dalle autorità competenti.

Tirando le somme, quindi, Ripple non sarebbe un vero progetto crypto il cui finanziamento avviene tramite l’emissione di un token, bensì di un disegno messo in campo da un’azienda privata al fine di trarre profitto dall’evidente interesse degli investitori nei confronti delle criptovalute.

Il tutto in modo da raccogliere fondi senza però rispettare le leggi in vigore.

Perché solo dopo 7 anni?

Infine, Simbula risponde anche alla domanda di chi si chiede perché la SEC abbia deciso di procedere a distanza di ben sette anni dalla comparsa di Ripple.

Affermando al proposito che la commissione è solita muoversi con tempi più o meno dilatati, con la sola eccezione sinora di Telegram, ma anche inesorabili.

E l’azienda californiana potrebbe essere solo la prima vittima della commissione, considerato come secondo l’avvocato la maggior parte dei progetti crittografici attualmente in circolazione rappresentino null’altro che truffe.

Pronte ad essere cancellate da un semplice atto di citazione della SEC, senza neanche la necessità di attenderne la condanna da parte di un tribunale.

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